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Tarquìnio, Lùcio.

(detto Prisco). Quinto re di Roma. Regnò, secondo la tradizione annalistica, dal 616 al 578 a.C. e solo in sede di sistemazione storica ricevette il soprannome di Priscus (Antico), per distinguerlo dal nipote, suo omonimo e settimo re (V. TARQUINIO, LUCIO detto IL SUPERBO). Sempre secondo la tradizione, T. nacque a Tarquinia da un esule greco della città di Corinto e da una donna etrusca, trasferendosi poi a Roma dove si guadagnò la stima del re Anco Marzio come tutore dei suoi figli. Alla morte del re, poiché in Roma la Monarchia non era un istituto dinastico ma elettivo, ottenne la carica e salì al trono. Quella di T. fu tramandata come un'epoca di imprese belliche, grandi riforme sociali e importanti opere pubbliche: sotto T. vennero sconfitti i Latini, i Sabini e gli Etruschi; fu aumentato il numero delle gentes patrizie e furono riorganizzate le centurie del ceto equestre; si portarono a compimento il prosciugamento della palude nella zona del Foro e la costruzione della Cloaca massima e fu avviata l'edificazione del tempio alla triade capitolina. A T. inoltre si dovrebbe l'introduzione in Roma di importanti cerimonie e tradizioni religiose di origine etrusca, tra cui spicca per vitalità, durata e suggestione quella del trionfo, in particolare nella tipologia sul carro (che mantenne intatto il suo significato per tutta l'epoca imperiale). Gli annali riportano che, dopo 38 anni di regno, T. venne ucciso per ordine dei figli di Anco Marzio. Secondo la storiografia moderna, il racconto della Monarchia di T. e del suo omonimo successore avrebbe riscontro e affidabilità storica solo per quanto riguarda i dati generali della dominazione in Roma di elementi etruschi, che esercitarono anche una profonda influenza in senso sociale, culturale e religioso. La definitiva trasformazione dell'originario carattere contadino e pastorale di Roma in società urbana si deve verosimilmente alla più avanzata esperienza etrusca, mediante sia una più sofisticata organizzazione dei ceti sia una trasformazione urbanistica dell'insediamento, come dimostrano del resto le opere ascritte alla persona di T. Inoltre si rileva una netta cesura nel carattere stesso della Monarchia, che si trasformò in assoluta, fatto non riscontrabile nella precedente e autonoma tradizione romana. La designazione di nuove famiglie patrizie (gentes minores), ad esempio, è da leggere come tentativo di ridurre l'influenza del patriziato a vantaggio di un maggiore potere del re. La cacciata da Roma di Tarquinio il Superbo si iscrive nella ripresa di vigore dell'aristocrazia romana, mirante a riconquistare il proprio ruolo egemone conculcato dal potere assoluto del re, facendo leva anche sull'aspirazione popolare di liberarsi dall'influenza straniera. Inoltre, la sostanziale somiglianza delle figure dei due Tarquini, cui sono attribuite azioni analoghe, induce a dubitare della storicità di questi due re, che potrebbero essere il frutto di una reduplicazione - in sede di sistemazione in età repubblicana degli eventi della Monarchia - di un unico personaggio realmente vissuto (V. anche ROMA, Età monarchica e repubblicana) (VII-VI sec. a.C.).